Pensieri

Settimana per l’unità dei cristiani.

gennaio '12

Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore (1Cor. 15, 51-58)

Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 18-25 gennaio.

“Una convivialità che parte da noi cristiani e si allarga al mondo intero.”

Convivialità delle differenze.

«Il genere umano è chiamato a vivere sulla terra ciò che le tre Persone divine vivono nel cielo: la convivialità delle differenze. Che significa? Nel cielo, tre persone mettono tutto in comunione sul tavolo della stessa divinità, tanto che a loro rimane intrasferibile solo l’identikit personale di ciascuno, che è rispettivamente l'essere Padre, l'essere Figlio, l'essere Spirito Santo.

Sulla terra, gli uomini sono chiamati a vivere secondo questo archetipo trinitario: a mettere, cioè, tutto in comunione sul tavolo della stessa umanità, trattenendo per sé solo ciò che fa parte del proprio identikit personale.

Vorremmo osservare, di passaggio, che la stessa espressione con cui possiamo descrivere il mistero trinitario serve anche per descrivere la pace: convivialità delle differenze. Definizione più bella non possiamo dare, della pace. Perché siamo andati a cercarla proprio nel cuore della Santissima Trinità.

Pace non è la semplice distruzione delle armi. Ma non è neppure l'equa distribuzione dei pani a tutti i commensali della terra. Pace è mangiare il proprio pane a tavola insieme con i fratelli. Convivialità delle differenze, appunto»

(Don Tonino Bello, La famiglia laboratorio trinitario della pace.)

La gratitudine come stile.

gennaio '12

Si può pensare alla gratitudine e al ringraziamento come risposta a una situazione che riusciamo a cogliere come "donata" per permettere la nostra vita. Risulta abbastanza evidente, allora, che la gratitudine è sempre una "seconda parola", mai la prima. Richiede di uscire da una lettura autoreferenziale della propria esistenza, vuoi nell'orgoglio dell'abbondanza di ciò che c'è, vuoi nella frustrante percezione di ciò che manca.
Il credente è invitato a riconoscersi "secondo" in quanto oggetto dell'attenzione di Dio alla propria vita e nella propria storia. Ma anche fuori dall'orizzonte di fede siamo sempre chiamati a comprendere di essere "secondi", come parte di un sistema che ci sorregge, e questo permette di sentirsene responsabili e allo stesso tempo "in rete". Bella l'immagine della rete che connette nodi e fili e, allo stesso tempo, sostiene nei tempi di caduta. La responsabilità nei confronti di questa rete, comunitaria, sociale, ecclesiale ecc., di cui oggi sentiamo appieno la necessità, trova la sua più vera radice nella gratuità! La responsabilità che nasce dalla gratuità come stile di atteggiamento di fronte alla vita apre alla riconsiderazione della nostra collocazione nel mondo e nella relazione con la trascendenza. Il trovarsi a ignorare o il rifiutare colpevolmente la riconoscenza grata che si fa responsabilità e azione apre la porta al triste fato evocato dalle splendide espressioni che il Satana di John Milton utilizza per descriversi: «Levato così in alto sdegnai la soggezione, pensando che un altro gradino mi avrebbe reso altissimo, e in un attimo solo estinsi il mio debito immenso di eterna gratitudine, ancora così pesante sebbene pagato, e tuttora dovuto. Dimentico di ciò che ancora ricevevo, io non sapevo che una mente grata, sapendo di dovere, già più non deve e continua a pagare, nello stesso tempo indebitata e libera dal debito» (Paradiso perduto, IV, 49-55).

Stefano Bittasi SJ

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La tentazione dell'insoddisfazione.

gennaio '12

«Così dice il Signore delle schiere, Dio d'Israele, a tutti gli esuli che ho fatto deportare da Gerusalemme a Babilonia: 5 Costruite case e abitatele, piantate orti e mangiatene i frutti; 6 prendete moglie e mettete al mondo figli e figlie, scegliete mogli per i figli e maritate le figlie, e costoro abbiano figlie e figli. Lì moltiplicatevi e non diminuite. 7 Cercate il benessere del paese in cui vi ho fatto deportare, e pregate per esso il Signore, perché dal benessere suo dipende il vostro. [...]
11 Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo oracolo del Signore -, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza. 12 Voi mi invocherete e ricorrerete a me e io vi esaudirò. 13 Mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il cuore; 14 mi lascerò trovare da voi. Oracolo del Signore. (Geremia 29, 4-14)

 

Il motore interiore che rende impossibile qualunque gratitudine è la sensazione di vivere un'esperienza storica ed esistenziale che lascia insoddisfatti. Il proprio presente e la propria situazione sembrano significativamente privi di bene. Si vive nell'orizzonte di "ciò che manca" per poter essere felici, per poter godere di un proprio benessere, per stare bene, ecc. È evidente che, quando si protendono tutte le proprie energie esistenziali nella direzione di ciò che non c'è - e ciò che manca è ritenuto essenziale al proprio vivere -, si smarrisce completamente la percezione del bene che invece c'è. E se anche razionalmente se ne avvertisse la presenza, questo verrebbe comunque classificato come non sufficiente alla propria vita e alla propria serenità o felicità. Un momento storico nel quale il popolo di Israele ha attraversato questo sentimento di perdita di ogni bene è stato l'esilio babilonese del VI secolo a.C. Di colpo ci si è trovati nella condizione di essere senza una propria terra e senza autonomia politica ed economica. Dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme, sono venuti meno anche i segni dell'identità nazionale e religiosa. Dover vivere in una terra straniera fa così smarrire ogni orizzonte di bene da un presente ormai svuotato di ogni segno di benedizione storica di Dio e della sua Alleanza. Molte pagine della Bibbia sono pervase da questo sentimento. Forse la più famosa è rappresentata dal Salmo 137 (136), con tutto il suo carico di violenza verso coloro che rappresentano il presente tragico nel quale si vive: Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre, perché là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, allegre canzoni, i nostri oppressori. Come cantare i canti del Signore in terra straniera? [...] Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sfracellerà contro la pietra.Mail profeta Geremia propone un diverso sguardo sull'esperienza babilonese. Davanti alla tentazione di considerare il bene solo come ricordo di una situazione passata, o di anelare ad esso solo in attesa del futuro, magari invocando Dio, la proposta del profeta indica il presente del popolo come l'unico "luogo" abitabile per lui. Sarà soltanto attraverso un atteggiamento positivo nei confronti di questa terra di Babilonia che il popolo potrà vivere. E non in una prospettiva a breve termine, dato che si evocano i propri figli e i propri nipoti nell'invito a moltiplicarsi che aveva caratterizzato le prime pagine della vita dell'umanità nel paradiso originario (Genesi 1, 28; cfr anche 9, 1). Trovare negli aspetti di bene della propria condizione, fosse anche quella di «deportazione», la ragione di una risposta grata alla vita, permette di aprirsi alla relazione di pienezza con Dio e con la propria storia. Il termine ebraico šalom, tradotto con pace al v. 11, evoca in realtà un'idea di pienezza, di benessere "olistico" che qui si apre a nuovi orizzonti. Il v. 7 recita letteralmente, infatti: «Cercate il šalom della città in cui vi ho fatto deportare, e pregate per esso il Signore, perché nel šalom suo sarà il šalom vostro». Si è su tutt'altra prospettiva rispetto al comprensibile sentimento (che comunque, parte del cuore dell'uomo, trova posto nella Bibbia) di chi piange sulle rive dei fiumi di Babilonia e troverà pace solo quando i piccoli del nemico odiato saranno uccisi violentemente; oppure di chi è capace solo di chiedere pace per Gerusalemme (come nel Salmo 122 [121], 6). La capacità di aprirsi a una vita grata e piena di benessere nella "terra di Babilonia" rappresenta così una grande sfida a molte nostre aree di insoddisfazione cui, spesso, abbandoniamo le nostre energie.

Stefano Bittasi SJ

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